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WIPO, l’organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale nasce nel 1967, in sostituzione di BIRPI l’Ufficio internazionale unito per la protezione della proprietà intellettuale, la prima istituzione che fin dal 1893, grazie alle Convenzioni di Berna e Parigi, lavorava a tutela della proprietà intellettuale.
Nel corso dei suoi 48 anni di vita WIPO ha operato tra le altre cose per promuovere una legislazione uniforme a livello internazionale e l’interscambio di informazioni in materia di proprietà intellettuale, e per facilitare la soluzione di controversie in materia di proprietà intellettuale nel settore privato, oltre a spingere all’uso di Internet come strumento per acquisire e utilizzare informazioni nell’ambito della proprietà intellettuale.
Dal 2001 WIPO organizza ogni 26 aprile – data in cui nel 1970 entrò in vigore la convenzione che stabiliva la fondazione dell’organizzazione – la Giornata Mondiale della Proprietà Intellettuale. Ogni anno l’evento viene associato a un tema specifico. Quest’anno il tema è quello della musica.
Get up, Stand up for music è il titolo della giornata 2015. Perché la musica? Ha senso oggi nell’era di Napster, Spotity, YouTube e tutti gli altri social media parlare di proprietà intellettuale? E in particolare di proprietà intellettuale nel mondo della musica?
Anche se a caldo verrebbe da dire no, la verità è più complessa. Ci sono artisti che ancora oggi dimostrano che la tutela della proprietà intellettuale nel campo della musica non solo ha una sua fondamentale rilevanza, ma cerca spazi nuovi di espressione. Taylor Swift, per esempio, ha recentemente registrato 5 frasi tratte dal suo album più famoso, 1989, e le ha trasformate in marchi, che quindi non potranno essere utilizzate per farne magliette, presine o cover per i cellulari e così via.
La stessa Taylor Swift è stata la prima celebrità a registrare le nuove e controverse estensioni di dominio: .PORN, .ADULT, .SUCKS scatenando un dibattito in rete che ha occupato e occupa ancora le home page dei quotidiani mondiali.
Ed è sempre Taylor Swift, evidentemente molto sensibile all’argomento, che ha ritirato tutti i suoi singoli da Spotify. Sulle pagine del Wall Street Journal ha spiegato la sua decisione, o se vogliamo la sua filosofia, in modo molto chiaro: “La musica – ha scritto – è arte e l’arte è importante e rara. Importante, e le cose rare hanno un gran valore e per questo vanno pagate”.
Di contro abbiamo enti no profit, scienziati e accademici che si muovono in tutt’altra direzione e che già dal 2004 hanno sollecitato un cambiamento di WIPO nell’ambito di tutela della proprietà intellettuale. A tale scopo hanno sottoscritto un documento – la dichiarazione di Ginevra sul futuro dell’organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale – che vuole sensibilizzare WIPO sulle legislazioni dei Paesi in via di sviluppo rispetto alla proprietà intellettuale e spingere l’organizzazione a considerarla non come fine a se stessa ma come un mezzo per lo sviluppo di queste nazioni.
Chi vincerà? Come si evolverà la tutela della proprietà intellettuale nei prossimi anni?
E’ ancora presto per dirlo, ma certo è che in un mondo dove i confini sono sempre più ristretti è sempre più necessario dotarsi di strumenti per la tutela dei propri marchi, fuori e dentro la rete. Come ha fatto Taylor Swift.

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